Tre giorni di tregua senza Presidio all'area circense, dove le tende non saranno rimpiazzate fino almeno al 27, ed intanto ci si organizza per tornare il giorno dopo Santo Stefano all'alba e dimostrare contro la prepotenza ed arroganza del Sindaco Ramazzotti e di Don Renato che, addirittura, nella messa di Natale vieta lo scambio del segno della pace ai fedeli ed all'uscita della chiesa fa distribuire uno scandaloso volantino che gli mette contro l'intero paese.
Proprio la sortita di Don Renato unisce ancora di più i cittadini.
Se la volontà di Sindaco, Parroco, Presidente della Provincia (tutti di sinistra) e del Prefetto è tanto forte significa certamente che per la popolazione niente di positivo si prospetta... ma gli operesi oramai sono insorti, e indietro non si torna.
La lettera di Don Renato consegnata agli operesi all'uscita dalla messa:
INTANTO GLI ZINGARI, pur non essendoci ancora il campo loro destinato, vengono ospitati all'oratorio e festeggiati dal Sindaco Ramazzotti, dalla Moratti, dal Presidente della Provincia Penati e dal Prefetto.
Mentre gli operesi trascorrono le giornate al freddo... Ramazzotti e la Moratti ballano con gli zingari e mangiano il panettone.
Opera, va in scena la festa agli zingari
di Luca Fazio
su Il Manifesto del 24/12/2006
Milano Benvenuti nell’area circense. Dove finisce Milano e Opera ancora non comincia, si stende un grande prato intrappolato in un gomitolo di tangenziali. In inverno nonci sono nemmeno le giostre. La piazza è solo uno svincolo per scappare via. Da una parte svettano le nuove e non ancora asfaltate case degli operesi, da non confondere con gli operai, anche se la composizione sociale è quella: una vita scandita dal mutuo ma tutti con il box e orgogliosi di essere altro da Milano. Operesi, di destra e di sinistra. E dall’altra parte il nulla, un pantano che avrebbe dovuto ospitare, fino a marzo, un campo per settanta zingari, compresi trenta bambini. Letigri, eccole qui. Ma il circo è finito. Anche oggi presidiano e imprecano. Ma piagnucolano, perché la televisione - a loro, che hanno votato il sindaco diessino - gli ha dato dei violenti e fascisti; e perché, suvvia, per bruciare le tende della protezione civile, schiaffeggiare gli addetti e sventolare brandelli di trofeo come in un horror girato in Alabama, per quello «basta poco, un accendino, una scintilla». Chi è stato? «Ma sono stati tutti…». Sanno anche nomi e cognomi. Tempi duri per i cacciatori di fascisti duri e puri. I professionisti dei raid di stampo neonazista, nascosti sotto il cappellino della curva, ci sono eccome: ma solo qualche testa rasata con il tricolore sul giubbotto, qualche «forzanuovista» nemmeno troppo in incognito che confabula democraticamente con la polizia, il resto…fa ancora più impressione. Sono relazioni ritrovate, ci si riconosce, le mamme (per definizione) hanno i figli piccoli, si gioca a palla, dare addosso agli ultimi, da qualche secolo, favorisce la coesione sociale. La «sinistra» lo sa, e generalmente scappa a gambe levate, anche se Opera sta diventando un piccolo laboratorio per imparare a gestire con la testa il «problema» che non ha mai avuto una«soluzione». Dopo il raid, le tigri borbottanti vanno domate, anche perché a essere precisi (magistrati e poliziotti, a volte, sono molto ma molto precisi) potrebbero dover rispondere di devastazione, incendio, istigazione all’odio razziale, violenza, eccetera. Non ci risultano fermi. Strano. Fa impressione vedere il leghista Borghezio che si agita nelle improbabili vesti del domatore, con la coda tra le gambe. Le sue tirate le fa, «figli di puttana» di qua e «continuate a rompere i coglioni» di là, e però invita a essere «pragmatici», a valutare e distinguere, in uno spreco di congiuntivi srotolati a caso. Qualcuno mugugna, i più furbi hanno capito. La notizia è che la polizia e i carabinieri, o meglio chi rappresenta lo stato anche in quel di Opera, deve aver suggerito agli agitatori locali di An e Lega che il panettone potrebbero mangiarlo a San Vittore. Sotto natale, c’è da restare stupefatti: il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, allora esiste, anche se gli uomini che lui avrebbe dovuto dirigere, di concerto con la questura, l’altra sera hanno lasciato il campo libero a una vergognosa azione squadrista, anche annunciata. L’uomo è sul luogo, alla conferenza stampa preparata al municipio, e resta senza parole quando l’europarlamentare del Prc, Vittorio Agnoletto, gli chiede conto dell’incredibile assenza della forza pubblica (farà una interpellanza parlamentare). Il prefetto sgrana gli occhi, è un uomo sotto tutela e il suo tutor si chiama Filippo Penati, il presidente della Provincia di Milano, diessino pragmatico col pallino della sicurezza. Per una volta coraggioso. Il campo nomadi si fa, questo ci tiene a ribadire Penati dopo il raid, «e i responsabili vanno individuati e puniti» (applausi da tutto il parterre targato Prc). Al suo fianco, e capita spesso, siede il sindaco di Milano-faccio tutto io, Letizia Moratti. Quegli zingari, fino a due settimane fa abitavano a Milano, e lei ieri è «scesa» fino a Opera per ringraziare il sindacolocale e per saldare ancora di più quel «tavolo istituzionalebipartisan» che sta cercando di trovare soluzioni mediate tra sinistra e destra. Forse, è finita l’epoca Albertini. E il sindaco di Opera, Alessandro Ramazzotti (Ds), stravolto per una decisione che gli è capitata fra capo e collo, finalmente può tirare un mezzo respiro di sollievo. Almeno fino al 28 dicembre, quando la Protezione civile, protetta dai poliziotti, rimonterà le tende per gli abitanti dell’ex campo di via Ripamonti. Dieci giorni fa li hanno lasciati mezzi nudi in mezzo alla strada. Il solito sgombero, con il solito corollario di oggetti sfasciati dagli uomini della polizia locale (vigili), strumenti musicali compresi. Ne devono aver recuperato qualcuno perché, mentre il comitato razzista strepita, stanno suonando nel campo da basket dell’oratorio. Un po’ in disparte come sempre, ma almeno per un giorno circondati dall’affetto obbligato di chi di tanto in tanto sente il dovere di distinguersi dai razzisti, dagli indifferenti e da chi sostiene che quando si parla di nomadi c’è poco da fare… Su tutti vigila don Virginio Colmegna, l’uomo ragno della chiesa milanese. Risolve problemi. Qualche zingara mima uno svogliato passo di danza, i bambini giocano e i volti della sinistra istituzionale (Farina, Muhlbauer, Quartieri) si concedono una salamella alla griglia. Cucinano gli scout. Poi tutti al dormitorio pubblico di viale Ortles. «Ma papà sono poveri?». No, sono zingari.
di Luca Fazio
su Il Manifesto del 24/12/2006
Milano Benvenuti nell’area circense. Dove finisce Milano e Opera ancora non comincia, si stende un grande prato intrappolato in un gomitolo di tangenziali. In inverno nonci sono nemmeno le giostre. La piazza è solo uno svincolo per scappare via. Da una parte svettano le nuove e non ancora asfaltate case degli operesi, da non confondere con gli operai, anche se la composizione sociale è quella: una vita scandita dal mutuo ma tutti con il box e orgogliosi di essere altro da Milano. Operesi, di destra e di sinistra. E dall’altra parte il nulla, un pantano che avrebbe dovuto ospitare, fino a marzo, un campo per settanta zingari, compresi trenta bambini. Letigri, eccole qui. Ma il circo è finito. Anche oggi presidiano e imprecano. Ma piagnucolano, perché la televisione - a loro, che hanno votato il sindaco diessino - gli ha dato dei violenti e fascisti; e perché, suvvia, per bruciare le tende della protezione civile, schiaffeggiare gli addetti e sventolare brandelli di trofeo come in un horror girato in Alabama, per quello «basta poco, un accendino, una scintilla». Chi è stato? «Ma sono stati tutti…». Sanno anche nomi e cognomi. Tempi duri per i cacciatori di fascisti duri e puri. I professionisti dei raid di stampo neonazista, nascosti sotto il cappellino della curva, ci sono eccome: ma solo qualche testa rasata con il tricolore sul giubbotto, qualche «forzanuovista» nemmeno troppo in incognito che confabula democraticamente con la polizia, il resto…fa ancora più impressione. Sono relazioni ritrovate, ci si riconosce, le mamme (per definizione) hanno i figli piccoli, si gioca a palla, dare addosso agli ultimi, da qualche secolo, favorisce la coesione sociale. La «sinistra» lo sa, e generalmente scappa a gambe levate, anche se Opera sta diventando un piccolo laboratorio per imparare a gestire con la testa il «problema» che non ha mai avuto una«soluzione». Dopo il raid, le tigri borbottanti vanno domate, anche perché a essere precisi (magistrati e poliziotti, a volte, sono molto ma molto precisi) potrebbero dover rispondere di devastazione, incendio, istigazione all’odio razziale, violenza, eccetera. Non ci risultano fermi. Strano. Fa impressione vedere il leghista Borghezio che si agita nelle improbabili vesti del domatore, con la coda tra le gambe. Le sue tirate le fa, «figli di puttana» di qua e «continuate a rompere i coglioni» di là, e però invita a essere «pragmatici», a valutare e distinguere, in uno spreco di congiuntivi srotolati a caso. Qualcuno mugugna, i più furbi hanno capito. La notizia è che la polizia e i carabinieri, o meglio chi rappresenta lo stato anche in quel di Opera, deve aver suggerito agli agitatori locali di An e Lega che il panettone potrebbero mangiarlo a San Vittore. Sotto natale, c’è da restare stupefatti: il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, allora esiste, anche se gli uomini che lui avrebbe dovuto dirigere, di concerto con la questura, l’altra sera hanno lasciato il campo libero a una vergognosa azione squadrista, anche annunciata. L’uomo è sul luogo, alla conferenza stampa preparata al municipio, e resta senza parole quando l’europarlamentare del Prc, Vittorio Agnoletto, gli chiede conto dell’incredibile assenza della forza pubblica (farà una interpellanza parlamentare). Il prefetto sgrana gli occhi, è un uomo sotto tutela e il suo tutor si chiama Filippo Penati, il presidente della Provincia di Milano, diessino pragmatico col pallino della sicurezza. Per una volta coraggioso. Il campo nomadi si fa, questo ci tiene a ribadire Penati dopo il raid, «e i responsabili vanno individuati e puniti» (applausi da tutto il parterre targato Prc). Al suo fianco, e capita spesso, siede il sindaco di Milano-faccio tutto io, Letizia Moratti. Quegli zingari, fino a due settimane fa abitavano a Milano, e lei ieri è «scesa» fino a Opera per ringraziare il sindacolocale e per saldare ancora di più quel «tavolo istituzionalebipartisan» che sta cercando di trovare soluzioni mediate tra sinistra e destra. Forse, è finita l’epoca Albertini. E il sindaco di Opera, Alessandro Ramazzotti (Ds), stravolto per una decisione che gli è capitata fra capo e collo, finalmente può tirare un mezzo respiro di sollievo. Almeno fino al 28 dicembre, quando la Protezione civile, protetta dai poliziotti, rimonterà le tende per gli abitanti dell’ex campo di via Ripamonti. Dieci giorni fa li hanno lasciati mezzi nudi in mezzo alla strada. Il solito sgombero, con il solito corollario di oggetti sfasciati dagli uomini della polizia locale (vigili), strumenti musicali compresi. Ne devono aver recuperato qualcuno perché, mentre il comitato razzista strepita, stanno suonando nel campo da basket dell’oratorio. Un po’ in disparte come sempre, ma almeno per un giorno circondati dall’affetto obbligato di chi di tanto in tanto sente il dovere di distinguersi dai razzisti, dagli indifferenti e da chi sostiene che quando si parla di nomadi c’è poco da fare… Su tutti vigila don Virginio Colmegna, l’uomo ragno della chiesa milanese. Risolve problemi. Qualche zingara mima uno svogliato passo di danza, i bambini giocano e i volti della sinistra istituzionale (Farina, Muhlbauer, Quartieri) si concedono una salamella alla griglia. Cucinano gli scout. Poi tutti al dormitorio pubblico di viale Ortles. «Ma papà sono poveri?». No, sono zingari.
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